


33. Favetta di Aquino
La storia
La favetta di Aquino è una varietà locale di fava nana, riferibile alla specie Faba L., coltivata oggi in quantità molto esigue, al punto da rischiare l’estinzione, ma dalla lunga tradizione paesana. La sua storia risalente a più di duecento anni fa, è legata ad una ricca famiglia di Aquino, i Pelagalli, che era solita preparare nella notte tra l’1 e 2 novembre nel proprio palazzo di Via Giovenale una minestra a base di fave da offrire la mattina seguente a tutti gli abitanti di Aquino presenti a Piazza San Tommaso. Questo rituale paesano veniva svolto con estrema cura dalla famiglia che a cominciare dall’estate precedente accantonava circa due tomoli di fave (corrispondenti a 80-90 kg). Pochi giorni prima del due novembre, le fave venivano selezionate, lavate e messe a bagno ad ammollare in appositi contenitori. La notte prima della festa gli uomini si occupavano di alimentare il fuoco dei bracieri allestiti nel cortile del palazzo e le donne cuocevano la minestra. La tradizione delle “Fave dei Morti” è stata recentemente ripresa ad Aquino da un'associazione culturale per riportare in auge l’antica distribuzione e degustazione di questa specialità del territorio.
La semina della fava avviene sui terreni di origine arenaria e travertinosa di Aquino, tra novembre e febbraio, tracciando dei solchi poi ricoperti con un sottile strato di terra. La pianta, che raggiunge un’altezza di circa 165-170 cm, viene lasciata essiccare in modo naturale. Quindi si procede alla raccolta manuale ed alla sgranatura dei baccelli. Il legume è oggi utilizzato tradizionalmente in cucina e per l’alimentazione animale; è invece in corso di studio l’impiego della fava come tintura per capelli o per tinteggiare i tessuti.

TESTIMONIANZE DELL'ANTICA AQUINUM
Nella bassa Valle del fiume Liri sorge Aquino, città natale del poeta satirico Giovenale e di San Tommaso. Dell’antica Aquinum, prima città volsca, poi importante colonia romana, si conservano maestose testimonianze racchiuse sia nel centro archeologico, distante una ventina di minuti dal borgo attuale, sia nell’abitato.
I resti delle antiche mura di travertino locale, che un tempo dovevano essere imponenti, sono conservati solo in parte insieme a due delle quattro porte cittadine: Porta Capuana, perfettamente integra, e Porta Romana di cui restano pochi regolari massi ammucchiati alla rinfusa. Ad attraversare come decumanum la città romana era la via consolare Latina che doveva condurre fino a Capua e di cui si conserva un lungo tratto basolato, ancora percorribile.
Al centro della città sono stati portati alla luce i resti di quello che doveva essere il tempio cittadino, il Capitolium, dedicato molto probabilmente alla Triade capitolina. Ancora interrati ma facilmente intuibili i resti del teatro romano del I secolo a.C. e dell’anfiteatro di età augustea. Imponente poi l’arco onorario di Marcantonio, che precede l’ingresso alla città e che, costruito intorno al 40 a.C., è sicuramente uno degli archi più antichi d’Italia.
Distrutta durante le invasioni barbariche, la città romana fu sfruttata come cava di materiali da costruzione per secoli, come dimostrano ad esempio i pilastri del portico della chiesa della Madonna della Libera ed i grossi frammenti di travertino inseriti nel Castello dei Conti.


