


14. Pan Pepato di Palestrina
La storia
Dolce tipico dei Monti Prenestini, il Panpepato, il cui nome si rifà all’utilizzo cospicuo di pepe con cui veniva speziato, ha origini molto antiche. La storia narra che già ai tempi dei principi Colonna prima e dei Barberini poi, i sudditi portassero in dono ai signori di Palestrina questa preparazione dolciaria a base di farina, miele, canditi, uvetta e frutta secca (noci, nocciole, mandorle e pinoli). Negli anni seguenti divenne tradizione realizzare questo dolce in tutta l’area prenestina, specialmente in occasione delle feste natalizie quando era consuetudine che il più anziano dei commensali affettasse il dolce mentre il più giovane si occupasse di servirlo agli ospiti, prevedendo sempre di tenere da parte qualche fetta per i mendicanti che bussavano alla porta. È ancora in uso nel linguaggio comune l’espressione “Si lassato lo muzzico dello palestrinese!” (letteralmente “Hai lasciato il boccone dell'abitante di Palestrina!”) per indicare i resti di cibo lasciati nel piatto, in memoria di un’epoca e di una storia ormai lontana. Il panpepato è ancora oggi realizzato da forni locali e da qualche famiglia che conserva la ricetta tradizionale. Questa prevede di impastare le materie prime (frutta secca, uva sultanina, frutta candita, cacao o cioccolato, pepe) con il miele sciolto a bagnomaria, quindi di formare delle pagnottelle rotonde da far solidificare su un ripiano coperto fino al giorno seguente. Nella fase successiva, va ottenuta la forma tradizionale di zuccotti del diametro di 10-20 cm di altezza 5-8 cm, da cuocere in forno per circa un’ora.

Il prodotto
Il Panpepato Prenestino, contraddistinto dalla forma a zuccotto, ha un colore marrone ed una superficie irregolare dovuta alla frutta secca di cui è composto. L’elevata intensità olfattiva si caratterizza per le pronunciate note di frutta secca (mandorle, nocciole, noci e pinoli), miele, cacao e uvetta, abbinate a lievi sentori tostati. Al gusto si presenta armonicamente dolce. Buona la croccantezza e la persistenza aromatica.
IL TEMPIO DELLA FORTUNA PRIMIGENIA A PALESTRINA
Per uno strano caso, i bombardamenti che hanno colpito Palestrina durante la seconda guerra mondiale hanno restituito alla città il Santuario della Fortuna Primigenia. Sepolto per buona parte dagli edifici che gli si erano sovrapposti nei secoli, questo complesso è oggi uno dei più affascinanti santuari che l’età repubblicana della Roma antica ci ha lasciato e rappresenta una quinta scenografica che lascia senza fiato il visitatore giunto a Palestrina, antica Praeneste.
Il Santuario, dedicato alla dea Fortuna, dovette essere uno dei luoghi di culto più venerati dalle popolazioni italiche: vi accorrevano da lontano per consultare le sorti (tavolette di legno da cui si traevano auspici per il futuro) che venivano estratte da un bambino, come narra Cicerone in un famoso passo del De Divinitate. Il complesso sacro ricalca lo stile architettonico dei santuari ellenistici: si estendeva infatti lungo le pendici del Monte Ginestro, oggi occupate dall’agglomerato cittadino, con un sistema di terrazze artificiali, collegate da rampe e scale perfettamente assiali al tempio superiore e su cui si aprivano porticati, ninfei e colonnati. Nel quarto livello si svolgeva il culto oracolare, mentre il culmine era occupato da un tempio di forma circolare dove oggi sorge il Palazzo Colonna Barberini, sede del Museo Archeologico Nazionale. Tra i tanti reperti, il Museo ospita il meraviglioso mosaico raffigurante l’Inondazione del Nilo, opera alessandrina del II secolo a.C., e lo straordinario gruppo scultoreo della Triade Capitolina.


